IL MALTO
L’orzo è l’ingrediente più adatto alla produzione della birra grazie alla sua equilibrata composizione di amidi e proteine, e alla presenza di bucce (glumelle), che preservano i semi durante l’immagazzinamento e concorrono ad agevolare la filtrazione del mosto.
La caratteristica dell’orzo più apprezzata dai birrai è il forte potere diastatico dei suoi enzimi, un termine tecnico che indica la capacità di trasformare l’amido in zuccheri.
Per attivare questi enzimi è necessario fare germinare l’orzo in modo controllato, cioè maltarlo.
Il processo inizia bagnando il cereale con acqua, spargendolo su ampie superfici e mantenendolo umido e arieggiato. La crescita della radichetta indica il proseguire della germinazione: quando raggiunge una dimensione pari a circa i due terzi del chicco rapidamente si procede a bloccarne la germinazione, essiccando l’orzo a bassa temperatura (70-SO”C), per tutelare i preziosi enzimi appena sviluppati.
La produzione dei malti chiari si suddivide in almeno due grandi gruppi, in funzione delle regioni birrarie di provenienza. Nel mondo anglosassone si utilizza tradizionalmente orzo con basso tenore di proteine, che viene sottoposto a una germinazione più spinta e a temperature finali di essiccazione leggermente più alte.
Ne risulta un malto più colorato, che darà birre leggermente più ambrate e saporite a scapito della ridotta forza enzimatica: non sopporterà pertanto l’aggiunta di succedanei amidacei come riso o mais.
Il maris otter è un classico esempio di questa tipologia e talvolta è citato in etichetta dal birraio, per sottolineare la qualità degli ingredienti utilizzati.
Nell’Europa continentale (Germania, Francia e Belgio) è diffuso il malto pils, ottenuto da orzi più ricchi in proteine, con germinazione più breve ed essiccazione a temperature più basse. Avremo malti più chiari, con maggiore forza diastatica, quindi più adatti a sopportare l’aggiunta di succedanei.
L’addizione di mais e riso è oggi una pratica ampiamente utilizzata in ambito industriale, per contenere i costi di produzione, ma incide sulla pienezza di sapore della birra finita.
Esistono, inoltre, svariate tipologie di malti, prodotti con differenti temperature di essiccazione, che danno gradi diversi di tostatura e permettono di aumentare l’intensità e la varietà dei colori e dei sapori. I carboidrati e gli zuccheri semplici presenti nel malto sono particolarmente sensibili alla temperatura e, a partire da 120-130° C, iniziano a trasformarsi in sostanze con interessanti qualità organolettiche. Si aggiungono cosi sentori di crosta di pane, frutta secca, nocciola, caramello, cioccolato e caffè per arrivare, con il raggiungimento dei 200°C, a note decisamente torrefatte.
In campo anglosassone si impiega anche il crystal, un malto che permette di ottenere birre con basso grado alcolico, preservando una buona intensità gustativa. Fra i malti “speciali” possiamo ricordare il Peated, che aggiunge note torbate da whisky, quelle ad esempio che ritroviamo nell’Adelscott. In campo germanico troviamo il Rauch, con decise note di legno affumicato (faggio), utilizzato con abbondanza nella Schlenkerla, una delle più famose birre di Bamberga.
Queste birre ci rammentano i sapori del passato, quando i malti essiccati a fuoco diretto erano apportatori di decise note affumicate. Gli inglesi posero grande attenzione nel cercare di ottenere malti dal gusto più pulito arrivando per primi a produrre birre chiare.
Queste pale ale trovarono un immediato riscontro nel pubblico dell’epoca e i mastri birrai apprezzarono la maggiore resa produttiva dei nuovi malti. Non a caso le innovazioni si svilupparono soprattutto nel Regno Unito, patria della rivoluzione industriale che favorì l’introduzione di nuove attrezzature e strumenti nelle fabbriche di birra. I birrai continentali furono anch’essi interessati a questi cambiamenti.
È noto che i due più famosi mastri birrai del tempo, Gabriel Sedlmayr, della Spaten di Monaco, e Anton Dreher, di Vienna, si recarono nel 1833 in Inghilterra per vedere di persona le nuove tecniche di essiccazione. Si narra che Sedhnayr si dotò di un bastone da passeggio cavo per “campionare” i nuovi malti e poi studiarli con maggior calma e attenzione. Al ritorno applicò le nuove conoscenze introducendo una nuova birra, leggermente ambrata, capostipite dello stile marzen/oktoberfest. Dreher sviluppò, invece, una birra di colore rosso ambrato, che rimarcava le note caramellate del nuovo malto, introducendo lo stile vienna. Oggi, purtroppo, i due stili birrari sono poco praticati, salvo in alcune birrerie artigianali. Rimangono a testimonianza di quei tempi i malti monaco e vienna, che continuano a fornire il loro contributo di aromi e sapori anche in altre tipologie di birre (bock, dunkel…).
Le malterie attuali risentono purtroppo di un fenomeno di accorpamento in fabbriche di grandi dimensioni che, avvantaggiandosi di un effetto di scala, mettono in difficoltà le piccole produzioni con prodotti a basso costo e poco caratterizzati. Ciò ha portato alla “estinzione” di alcuni malti speciali; ad esempio qualche anno fa fù interrotta la produzione del Biscuit, un malto speciale della De Wolf Cosyns. Sembra, fortunatamente, che qualcosa stia cambiando grazie soprattutto alla diffusione dei birrifici artigianali, interessati ad acquistare prodotti di qualità. Infatti, recentemente, il biscuit è tornato in produzione per soddisfare le esigenze del nuovo mercato, piccolo ma significativo e con buone possibilità di crescita.